Gli abiti da sposa non sono più quelli di una volta, e non è un modo di dire nostalgico. Il mercato bridal sta cambiando, o forse è già cambiato, e non ce ne siamo accorti (almeno fino ad ora). Ad evidenziare le proporzioni della faccenda è un recente articolo di Business of Fashion che ha raccolto le nuove tendenze in materia, ascoltando le bride-to-be del 2019. Tra gli imperativi, vestiti che si possono usare più di una volta (le ricerche online, secondo Lyst, di abiti da sposa con tasche o completi da sposa sono salite rispettivamente dell'83 e del 43%, si compra spesso online e pezzi vintage: a dimostrarlo è il successo di StillWhite, sito di rivendita fondato nel 2010 da Bruno Szajer e sua moglie Ingrid, la prima a mettere il suo vestito in vendita. Il prezzo scende così tra il 50 e il 60% rispetto all'originale – e questo aiuta quel 23% di spose che, secondo Lyst, comprano due abiti – e i venditori, dall'apertura del progetto, hanno guadagnato in totale 28 milioni di dollari. Cifre che raccontano di un mercato non secondo a nessuno, in materia di numeri – sempre secondo BOF, il mercato globale degli abiti da sposa vale 300 milioni di dollari. Al netto di queste nuove istanze, quali sono i marchi che, in Italia e all'estero, si stanno dimostrando capaci, pur senza una lunga storia alle spalle, di navigare il mare del bridalwear? A casa nostra c'è Elisabetta Delogu, regina di pizzi e ricami aggiornati al 2019. Il flair è indubbiamente romantico, senza però mai essere lezioso: a fare la differenza sono le lavorazioni di organze e tulle, abbinate a tagli lineari, lontani anni luce dall'effetto meringa.

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Dalla vicina Grecia arriva invece Costarellos, che segue, evidentemente la stessa linea di pensiero di Elisabetta Delogu: pizzi su pizzi, molto spesso layered, ma che, come per magia, sembrano impalpabili e leggeri, tanto da poterci correre sulle spiagge di Paros a piedi nudi.

Corpetti ricamati e con colli alla vittoriana, schiene su cui si appuntano bottoncini, maniche ampie – ma sempre in pizzo, non scherziamo – sono invece i mai più senza di Francesca Piccini, brand con atelier nel cuore di Milano. La sensualità e il romanticismo del pizzo all-over trova il suo perfetto bilanciamento con scolli minimalisti, a goccia, sulla schiena.

Dall'Israele arriva invece Flora Bridal, marchio nato nel 2010 dall'immaginazione di Rinat Asher: se i tessuti, perline e micro-lustrini compresi, arrivano dall'Europa, i volumi scivolati, sensuali nella loro apparente inconsapevolezza, piaceranno assai a tutte le epigoni di Florence Welch.

Non solo abiti da sposa realizza Galvan, marchio londinese i cui mini vestiti e le tute sono già state portate in giro per le notti di Londra e New York da socialite del rango di Emily Ratajkowski e Rosie Huntington-Whiteley. E chi vuole una jumpsuit da sposa per il proprio giorno più speciale, trova in Galvan la risposta – luccicante e carica di perline, pronta per la navata ma anche per la pista da ballo – perfetta.

Dal gusto boho, rivisto e corretto nelle brughiere inglesi, è invece il marchio di Savannah Miller – sì, la sorella di Sienna. Il successo del brand poco ha a che fare con parentele famose, però, visto che Savannah ha militato negli atelier più rinomati della capitale d'Albione, da Matthew Williamson ad Alexander McQueen. Volumi improntati al minimalismo, sete che si privano volontariamente di qualunque orpello, cappe e boleri come accessori trasformisti, i vestiti in crêpe di seta monospalla sono perfetti anche per un cocktail.

E si possono indossare non solo nel giorno del sì, come richiedono le più pratiche newyorchesi, anche gli abiti di Markarian, brand disegnato da Alexandra O'Neill, natali in Colorado e un amore per il cosmo che l'ha portata a chiamare il suo marchio come una striscia di galassie. E come le galassie, questi abiti brillano di luce propria e, nonostante maniche a sbuffo, baschine e voile, riescono ad apparire adatti anche all'ora dell'aperitivo. La blusa in seta allacciata in vita in combo con i pantaloni palazzo è il non plus ultra dell'eleganza modernista da navata.

Per le più modaiole, infine, c'è Cecilie Bahnsen, che è arrivata in finale al prestigioso LVMH Prize, con un curriculum che l'ha vista studiare al Royal College of Art di Londra. La sua linea di abbigliamento, che mischia vezzi e texture francesi con un'attitudine al minimalismo svedese, si trasla anche nella linea bridal, venduta in esclusiva su Net-à- porter. Vestiti in taffetà, gonne midi in jacquard di cotone,o a palloncino in organza e popeline, la donna che li indossa sembra di quelle disposta a barattare le scarpe con il tacco con degli anfibi ben più comodi. Forse meno classico, ma, ormai, appunto, gli abiti da sposa di una volta non ci sono più, e forse è meglio così.