«La moda, così come la concepiamo oggi, si basa su un sentimento violento del tempo. Ogni anno distrugge ciò che aveva adorato e adora ciò che distruggerà», scriveva Roland Barthes ne Il senso della moda (Einaudi). Miuccia Prada si sottrae a questa vendetta semestrale e, in tutto il suo percorso di lavoro, ha messo a punto un metodo di pensiero che si traduce in azione creativa che, via via è diventata una conversazione con l’aggiunta di nuovi argomenti, nuovi compagni di viaggio (è alla sua terza co-operazione con Raf Simons, anche se questa c’è più lei che l’altro), interazioni con arte tramite la Fondazione, registi famosi, musicisti d’avanguardia. Non è un caso che alle ormai consuete conversations after show stavolta siano intervenuti il designer Marc Jacobs – più fluido che mai, con unghie smaltate e make-up drammatico; Rem Koolhaas, architetto, urbanista, saggista, che ha progettato gli epicentri più importanti del marchio milanese; il musicista techno Plastikman, sperimentatore di sonorità inattese; l’attrice e modella transgender Hunter Schafer, protagonista delle serie Euphoria; e infine il regista e produttore Lee Daniels, attivista per la causa dei neri americani, gay dichiarato e autore di uno dei più bei film sulla “diversità”, Precious, che ha fatto guadagnare un Oscar all’attrice e cantante Mo’nique. Siate onesti: riuscireste a immaginare un cast di amici-ospiti più perfetto di questo per rispettare i tempi in cui viviamo? Miuccia Prada è sempre molto, molto intelligente, e a proprio agio con le domande poste da Derek Blasberg, capo dell’intera sezione Fashion & Beauty di YouTube. Ed è mediaticamente impeccabile anche la presentazione della collezione, che deriva da quella vista per l’uomo maschile nell’uso dei longjohn - i mutandoni del nonno o dei personaggi maschili nei western - che qui si trasformano in una tuta seconda pelle di maglia, intuizione che l'accomuna alla stilista francese Marine Serre: un condom corporeo, così aderente da catturare, talvolta, anche le scarpe dalla zeppa alta (sulla fenomenologia dello zatterone come simbolo del momento, ne scriveremo).

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Come facevano i pittori fiamminghi, da Prada si procede per velature e sovrapposizioni: sul jumpsuit c’è il tailleur, sul tailleur c’è il mantello che per la sera rinuncia alla funzionalità, ma s’illumina di paillettes in colori variopinti o la pelliccia ecologica, che diventerà un altro tormentone stagionale. Non manca quell’appeal d’istinto ben celato, in quei fotogrammi quasi subliminali di ragazze che ballano in una stanza buia, tranne che per luci intermittenti come in un film di David Lynch. Quello di Prada è un défilé dove si realizza una simbiosi tra protezione e grazia, per spingerci a uscire, ma anche a praticare l’esercizio della socialità fino ad arrivare alla seduzione. L’amore e, di conseguenza, la sua conseguente, normale espressione, il sesso (ma oggi si potrà ancora scrivere parole come “normale” e “conseguente”?) si qualifica come il viatico principale per l’instaurazione di relazioni, il sentimento principe della socialità. Perciò quel sentimento che più si ritiene intimo, consente il passaggio dal piano individuale a quello sovraindividuale, collettivo: la sua manifestazione vede l’io e il tu posti uno di fronte all’altro, l'io è proteso verso il tu nel tentativo di abolire la distanza e di aderire al tu formando il noi.

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Des Phemmes

Non è un caso che la dimensione del gruppo, della festa, del party e del flirt è una costante nelle presentazioni, dai nomi più giovani come l’ottimo Salvo Rizza per Des_Phemmes (un marchio esordiente dal piglio femminile quanto provo di ogni frivolezza, dove l’estetica degli anni 90 si mixa a un romantico concetto di streetstyle) a Emporio Armani, un inno ai colori fluorescenti delle discoteche anni 80, quelle decantate da Piervittorio Tondelli in Pao Pao e Altri libertini; da Andrea Pompilio, che addirittura prende l’avvio da un viaggio a New York nei primi anni 90 e mette in scena una moda costruita ma facile, mercuriale, svelta, rivisitata in un locale più dark room che disco, che non conosce limiti di genere o di età, fino a Missoni, che ieri ha presentato una collezione al di là delle stagioni e delle tendenze, ma non condensate in una compilation dei pezzi forti della casa, ma in soluzioni pratiche, ottimistiche, come lo sportswear trattato come il più prezioso dei pullover («anche se non abbiamo mai venduto tanti cardigan come nello scorso anno!», dice Angela Missoni a un collega straniero).

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Andrea Pompilio
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Ed è la maglieria il materiale che asseconda di più questo stile dinamico, proiettato in un futuro vaccinato: Nicola Brognano, alla sua seconda prova come direttore creativo di Blumarine, focalizza il suo target sulle teen della Generazione Z con un défilé che, tra allusioni a Britney e Paris, propone alle ragazze di oggi dei modelli cui potrebbero imparare, in una sinfonia di colori confetto, dove però non mancano gli elementi-simbolo della maison come le rose e le stampe a fiori. Perché sarà anche vero che saremo tutti in recessione sessuale, ma forse è il caso di darci una svegliata dal letargo sensoriale e in un inverno dove si spera che i virus ci faranno un baffo, indossando abiti così allegri e non nostalgici.

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