Novant'anni fa, in un'insolita calda giornata di primavera a Parigi una giovane donna bionda, baciata dal sole e arrossata da un flûte di champagne decide di fondare un movimento: le flapper. Donne all'avanguardia per i tempi, decisamente femministe, artiste, dentro e fuori. Lei è Zelda Fitzgerald, moglie di Francis Scott Fitzgerald, uno dei più grandi scrittori del secolo scorso. Quel mood, quella stagione effervescente e culturalmente stimolante è la base fondante di Flapper Genevieve Xhaet, progetto di copricapi (e ora anche abbigliamento) della designer italo-belga fondato nel 2013. Collezione dopo collezione la stilista definisce la sua estetica che va sempre a braccetto con la funzionalità "una parola molto usata", dice. Ma necessaria per capire il suo concetto di moda in cui entra negli ultimi anni, anche se poi, come racconta, "c'è sempre stata" la sostenibilità.

L’altro giorno, mentre preparavo l’intervista, pensavo a quando ci siamo conosciute. Ancora il brand aveva il logo scritto in minuscolo e in corsivo, ora è l’esatto opposto: maiuscolo e stampatello. Cos’era Flapper all’epoca (2013) e cosa è diventato oggi?
Sicuramente il font del logo funge da metafora del percorso dal 2013 a oggi. Diciamo che quando Flapper è nato aveva un legame molto forte con le donne degli anni ’30, era molto radicale - se vuoi - questa connessione. E anche il corsivo usato per il logo all’epoca era per rievocare quelle atmosfere. Poi però il progetto è virato verso un’interpretazione meno vintage di quel mondo. Ho capito di voler raccontare e vestire con i miei cappelli e turbanti le donne della contemporaneità. Tutte noi insomma. Da qui il nuovo logo, molto attuale e forte. Per arrivare a concepirlo c’è voluto un po’. Ho fatto un po’ di prove.

Hai sempre sperimentato. Mi ricordo la collezione con i cappelli e turbanti che avevano dei dettagli fosforescenti al buio.
Ah sì, alcuni modelli erano fatti con la cartarifrangente. Ecco quella collezione vedeva il brand ancora nel “limbo”. Diciamo che ha segnato il passaggio dalla reinterpretazione della donna flapper degli secolo scorso a quella contemporanea, che va quindi contro il tempo. Utilizzerei la cartarifrangente ogni anno, trovo sia un materiale geniale proprio perché ha una delle caratteristiche che ricerco maggiormente quando penso ai miei pezzi: la funzionalità. Ti ricordi che l’avevo inserito anche in un cappello di paglia?

Sì, una scelta ancora più inusuale.
Esatto, mi ero immaginata di vederlo indossato mentre si è in bicicletta con il buio su un’isola, dove c’è scarsissima luce, anche artificiale. Oltre che a essere estremamente moderno, era anche utile a chi lo vestiva per essere visto.

Perché tanta ricerca sui materiali?
Perché ritengo che per essere davvero innovativi oggi i materiali siano il focus. Studiare questi aspetti è sinonimo di contemporaneità secondo me. Perché alla fine le forme sono queste. Certamente si possono modificare, anche per mettere in equilibrio il piano estetico con quello pratico, però la base è sempre la stessa.

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Courtesy FLAPPER

Nella collezione autunno inverno 2021-22 hai introdotto i primi capi d’abbigliamento Flapper: non ti fermi mai?
Mi sto proprio facendo la stessa domanda in questi giorni (ride, ndr). Effettivamente mi sono chiesta se fosse la strada giusta, ma alla fine mi è piaciuto farlo e il progetto è uscito bene. È nato dall’idea di dare alla flapper una divisa, di aggiungere un pezzo in più che la definisse.

Le tute, i vestiti, i top e i pantaloni sono tutti realizzati in cachemire e un particolare filato tecnico rigenerato. Apparentemente i due materiali sembrano agli antipodi, in realtà hanno qualcosa in comune.
Sicuramente l’aspetto legato alla sostenibilità in quando sono materiali fatti per durare nel tempo. Il classico maglione in cachemire del nonno che dura trent’anni, per intenderci. Lo stesso vale per i filati tecnici. Per questo ho dedicato loro una parte della collezione. Li ho scelti entrambi anche per cominciare il concetto che sì, bisogna stare attenti all’inquinamento e a tutti gli altri processi negativi per il Pianeta, ma anche il fattore “durabilità” è estremamente importante, e ci credo molto.

Durabilità che rendi possibile non solo nella scelta dei materiali ma anche nel modo in cui vengono imbastiti per creare i modelli: tutto è realizzato a mano, da persone vere, quindi gli artigiani. Includeresti anche questo valore nel grande concetto di sostenibilità?
Assolutamente. Infatti abbiamo collaborato per la prima collezione di maglieria, ma anche di alcuni copricapi, con un’azienda del nord Italia. Il resto viene fatto in Piemonte, nel distretto del biellese, celebre per la raffinata lavorazione dei cappelli. Poi le paglie in Toscana. L’aspetto più bello del mio lavoro è proprio collaborare con queste realtà. Con gli artigiani che stanno lottando per poter rimanere a galla. Torno proprio ora da una settimana in Toscana perché sto realizzando la prossima collezione estiva e ho notato proprio questo. Però, insomma, sebbene con grande fatica vanno avanti.

Enfatizzare le comunità locali è un altro tratto della recente storia di Flapper, assieme all’arte contemporanea. L’ultima collezione è ispirata ai popoli Walser delle Alpi. Come li hai conosciuti e come sei riuscita a sintetizzare l’aspetto estetico e pratico in ogni capo?
Sicuramente non è stato facile. Certamente tutto si è sviluppato sotto un grande “cappello” che era la montagna. Attualmente mi piace raccontare quello che è il mio territorio (Genevieve nasce a Biella, ndr) e credo sia giusto e molto bello. Anche a livello commerciale è molto apprezzato, specialmente da paesi come la Cina. Ho scoperto il popolo Walser proprio informandomi sulle valli vicine alla mia zona. Questi abiti meravigliosi, i copri capi tradizionali mi hanno conquistata. Credo che la storia dei costumi locali sia un po’ arida, dovrebbe essere più approfondita.

Qualche nome che ti ha aiutato nella ricerca?
Estella Canziani, grande pittrice ma soprattutto scrittrice e folclorista. Di origini inglesi, quando veniva in Italia andava sulle Alpi piemontesi e le popolazioni che incontrava le raccontava nei suoi libri. E da questi ho preso spunto.

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A proposito di “local”. È durante un viaggio in Toscana per incontrare dei fornitori che trovi l’ispirazione per creare Xenia, il cappello a tesa larga con volto diventato uno dei best seller di Flapper. Com’è andata?
Era una giornata infinita. Io e la mia assistente eravamo stanche e in attesa del nostro appuntamento con l’ultimo laboratorio della giornata. Erano tipo le 19. Entro in questo spazio e vedo per terra una maschera di carnevale bruttissima in paglia. La raccolgo e l’appoggio su un cappello molto semplice e chiedo all’artigiano, anche un po’ frettolosamente, di “fondere” la maschera al cappello. La mia assistente pensava fossi un po’ impazzita. E nemmeno quando abbiamo visto il campione eravamo del tutto contente della resa. Incuteva un po’ di timore, quel viso che spuntava fuori dal cappello. Ora è uno dei nostri best seller ed è continuativo in ogni collezione. Ecco questo cappello risponde alla prima domanda: ritorna l’elemento surrealista, creativo, tipico dell’epoca di Zelda Fitzgerald e le altre donne del momento. Ma in chiave contemporanea.

Nella collezione estiva invece è Dora Maar la donna che hai scelto come punto di riferimento. Il suo essere una grande fotografa e la sua ossessione per le mani. Ne è nato Franca, una sorta di cugino del modello Xenia: una mano, sempre in rilievo, che fa il gesto di mettersi il cappello in testa. Se dovessi scegliere due pezzi delle ultime collezioni, estiva e invernale, quali sarebbero?
Sicuramente il Franca, sempre in paglia, ispirato proprio a Maar. Lo trovo proprio emblematico perché mi ha fatto capire che dentro Flapper c’è una fetta importante di surrealismo, di inconscio che viene fuori. Sarà forse per la mia parte belga, quindi Magritte e quel mondo di artisti. Per il prossimo inverno, trovo invece bellissima la parte dei cappelli in maglieria. Ad esempio ho cercato di rendere meno banale la classica cuffietta aggiungendole una sorta di sciarpa incorporata che si può indossare come si vuole, anche allacciandola come fiocco, oppure dietro. L’obiettivo è poi sempre quello di proteggersi dal freddo e questo prolungamento permette di tenere caldo anche il collo.

Quando capisci che un capo è finito, che non devi aggiungere altro?
Quando esco di casa e lo indosso.

Flapper da sempre lavora con artisti contemporanei, designer e brand. L’ultimo in ordine di tempo è K-way. So che stai lavorando a un’altra collaborazione. Qualche spoiler?
Sarà con un’artista molto brava. Stiamo pensando di presentare il risultato finale verso novembre. Ho ripreso a occuparmi del progetto iniziato prima della pandemia e poi ovviamente interrotto, ma ora si sta ricreando quella magia creativa che mi porta ogni volta a fare questo tipo di collaborazioni.

Un copricapo per ogni donna oppure a ogni volto il suo?
Direi un copricapo per ogni donna. Tutti i modelli, anche quelli più impensabili funzionano perché mettono in risalto aspetti del proprio viso che magari non venivano enfatizzati.

Qualità, handmade in Italy, ricerca, funzionalità, sostenibilità e figure femminili di un certo peso culturale e fascino. Sei d’accordo nel considerarlo il linguaggio di Flapper?
Penso di sì. Sicuramente il brand è in continua evoluzione, altri termini potrebbero entrare in questo linguaggio. Ma devo dire che queste sono esattamente le coordinate giuste.

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Genevieve Xhaet