L'ultimo brand, in ordine di tempo, è stato Balenciaga: la cancellazione social(e) di tutti i post realizzati fino a quel momento dalla maison su Instagram, era giustificata da un debutto importante, quello di Demna Gvasalia per la prima volta alla prova della couture, la cinquantesima mai realizzata dal brand parigino. Certo però, l'abitudine delle maison di oscurare o cancellare i propri contenuti sui social, è divenuta abbastanza frequente, da diversi anni a questa parte, tanto da aver portato Business of Fashion a un'analisi accurata, raccontata nel pezzo The art of going dark on social media, firmato da Alexandra Mondalek. Se, in effetti, mettere fine a qualunque tipo di "connessione" tra il brand e il suo pubblico può generare inizialmente un certo "rumore", è necessario saper gestire questa fase di transizione con cautela, se non si vuole evitare effetti collaterali indesiderati, come la disaffezione del pubblico. Un approccio strategico, nel pezzo spiegato da diversi professionisti del sistema, come nel caso di Mario Natarelli, managing partner nell'agenzia di branding MBLM, che inizia facendo i dovuti distinguo. «I brand di successo nel settore fashion e in quello beauty, sono abituati a infrangere le regole del marketing, quelle che tutti gli altri sono obbligati a seguire» spiega, «e una delle regole auree è quella della coerenza e della costanza. Certo, in alcuni casi, quelli dove la community è tutto, come con i brand beauty, il marchio deve avvisare i propri consumatori delle proprie intenzioni, prima di spegnere i riflettori. Molto importante è, tra l'altro, annunciare il motivo della decisione». Il riferimento, qui, è al KKW Beauty, brand di cosmesi di proprietà di Kim Kardashian, che ha di recente optato per questa strategia, per poi annunciare un cambio di rotta importante, nella direzione di una maggiore sostenibilità, con packaging totalmente riciclabili. Se però è importante essere chiari e totalizzanti – l'approccio "offline" deve riguardare tutti i canali social disponibili, e non solo Instagram, di modo da far apparire la scelta come "radicale" – questa opzione non è sempre contemplata per i brand di media grandezza, che non hanno negozi fisici, e si avvalgono unicamente delle vendite che arrivano dai canali web. «Certo, è probabile che in quel caso, nel breve termine si registri un calo delle vendite» spiega Federico Flamminii Albani, digital director di ES PR, nota agenzia di comunicazione milanese che segue diverse maison del lusso «ma il successo di questa operazione non dipende dalla grandezza o dalla notorietà del brand, quanto dalla forza della community che quel brand è riuscito a costruire sui social. L'abitudine di cancellare i post dai propri social e scomparire momentaneamente dai radar» prosegue Albani «non nasce come una strategia del marketing della moda, ma nel mondo del rap, dove questa abitudine era in voga tra artisti di varia fama, già dieci anni fa. La differenza, come spiega il libro Cluetrain Manifesto, libro del 1999 ma attualissimo ancora oggi, che spiega l'impatto di Internet sui mercati, la fa la community che sei riuscito a creare intorno al tuo prodotto. Basta pensare al caso di Bottega Veneta, che ha deciso di abbandonare tutti i suoi social media, e non temporaneamente, ma in maniera definitiva, sperimentando un nuovo approccio alla comunicazione. Bisogna pensare alla comunicazione sui social come ad una serie di snodi comunicanti: certo, gli account ufficiali sono il punto di partenza centrale, ma se si riesce a connettere alla propria filosofia un numero abbastanza alto di utenti, che a loro volta creeranno dei profili fan – come ad esempio New Bottega, fan account dove si raccolgono tutti gli adepti del brand guidato da Daniel Lee – la comunicazione non sarà interrotta dall'assenza dell'account ufficiale, ma anzi, il messaggio sarà propagato attraverso i profili dei follower, che si sentiranno investiti di un ruolo speciale, quello di "portavoce" del brand, incaricati di tenere attiva la community, di fronte a un circolo ristretto di eletti, aumentando la sensazione di far parte di un club esclusivo».

Proprio per questo, in effetti, il brand non ha sentito il bisogno, come il marketing imporrebbe, di rilasciare una dichiarazione circa la sua scomparsa dal mondo online, ma ha fatto consapevolmente salire l'attesa, e le domande correlate, fin quando non è stato lo stesso CEO di Kering, François-Henri Pinault, a dichiarare che il brand "non è scomparso dai social media, ma ha deciso di usarli in una maniera diversa". Certo, ribadisce Albani «definire da subito una timeline precisa, con tempistiche definite tra scomparsa dai social e annuncio di un nuovo corso, è fondamentale, di modo da sfruttare al massimo il tam tam che si crea sui social nel momento nel quale un brand scompare dai radar, con correlata "fuga di notizie", speculazioni su possibili motivazioni rilanciate nel web dalla community, e riapparire all'acme, prima che la mossa appaia come ingiustificata, irrilevante, e la notizia sia sepolta da altre news più "calde". Inoltre, se si parla di Instagram, gli algoritmi del social spingono ovviamente i suoi user a passare sull'app più tempo possibile, a tenerti "impegnato" a livello mentale: per come sono pensati adesso, nel momento nel quale un utente scompare dai suoi schermi per un certo periodo di tempo – come nel caso dei brand che spengono momentaneamente i riflettori o di quelli che disabilitano l'account – nel momento del suo ritorno, il primo post che realizzerà, riceverà una spinta aggiuntiva dal social, che vuole ovviamente spingere l'utente e i suoi follower a riprendere il discorso da dove lo si era lasciato, quindi regalando una sorta di ulteriore aiuto nel guadagnare visibilità». Certo, però, se oggi il marketing è abituato a gestire con cautela e competenza questo passaggio, si deve anche ad un pubblico ormai consapevole, e totalmente diverso rispetto a quello degli esordi. «Basta pensare a quando nel 2012, Saint Laurent cancellò tutti i propri post da Instagram, per annunciare l'arrivo alla direzione creativa di Hedi Slimane» conclude Albani. «In quel caso il brand dimostrò un grandissimo coraggio, prendendosi dei rischi: le critiche che piovvero loro addosso, con utenti che accusarono il brand di voler cancellare il proprio passato, furono copiose e parecchio dure. Oggi, quest'approccio purista è stato sostituito da altro: gli utenti, persino quelli più giovani, sono consapevoli che la storia di un brand non si ritrova in un canale Instagram, o in un profilo social, più dedicato a raccontare l'hic et nunc del presente, immortalandolo in un feed soggetto a mutevoli cambiamenti e repentine rivoluzioni. Nessuno si indigna più, insomma, ma piuttosto ci si incuriosisce, come di fronte all'ultima puntata della propria serie preferita, e ci si scambia teorie con gli altri follower, che poi costruiscono la fan base di quel brand, parlandone e propagandone il verbo, lasciando il brand a coglierne i frutti». Ora, resta solo da capire cosa succederà all'altro profilo Instagram meta di culto social, quell'@Oldcéline nel quale le fanatiche di Phoebe Philo si riunivano per ricordare i "bei tempi andati" nei quali alla guida del brand c'era la designer inglese, che ha di recente annunciato il ritorno sul palcoscenico della moda, dopo tre anni di silenzio, con il lancio di un suo brand. Se si riattiveranno i riflettori, o se ne nascerà uno spin-off, magari un "New Philo" starà alla sagacia e all'attenzione dei consulenti marketing, che di queste scelte, non sono mai, soltanto, inermi spettatori.